Lo scorso pomeriggio del 22 gennaio, Sebba, capoluogo della provincia di Yagha in Burkina Faso, ha subito un attacco mortale rivendicato dal Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (JNIM). Il raid è stato avviato intorno alle 14:00 e si è protratto per diverse ore. Secondo testimonianze di fonti locali, l’assalto ha avuto inizio con un attacco a una base militare situata alla periferia della città. A seguito di questa incursione, i miliziani hanno fatto irruzione nel centro abitato, provocando un bilancio tragico di almeno sette civili uccisi, tra cui una donna e i suoi quattro figli, che hanno perso la vita a causa dell’incendio di una tenda. In aggiunta alla perdita di vite umane, i terroristi hanno inflitto danni significativi alle infrastrutture locali, incendiando anche l’unica stazione di servizio della città ed il locale centro medico. Sul fronte militare, fonti interpellate dall’emittente francese “Rfi” hanno segnalato che circa venti soldati sono stati uccisi, mentre decine risultano feriti o dispersi, evidenziando la gravità dell’attacco e gli ingenti danni materiali subiti.
La rivendicazione da parte del JNIM è giunta poche ore dopo l’attacco, con il gruppo che ha dichiarato di aver preso il controllo della base militare senza fornire dettagli specifici sul bilancio dell’assalto. È importante sottolineare che la città di Sebba è sotto assedio da oltre due anni e dipende esclusivamente dai convogli militari per il rifornimento, rendendo la sua popolazione vulnerabile e isolata. Al momento, né il governo di Ouagadougou né i vertici militari burkinabé hanno fornito commenti ufficiali o ulteriori informazioni in merito a questo attacco devastante. La mancanza di una risposta immediata solleva interrogativi sulla strategia di sicurezza adottata nella regione e sul modo in cui il governo intende affrontare la crescente minaccia del terrorismo che affligge il Burkina Faso e le aree circostanti. D’altro canto da ormai diverso tempo le notizie in merito agli attacchi terroristici in Burkina Faso vengono censurate dal governo di Traoré, le poche informazioni trapelano grazie alle associazioni umanitarie presenti in loco ed ai pochi giornalisti occidentali rimasti dopo le epurazioni del regime militare.