Poura è il capoluogo del dipartimento di Bale, che comprende anche i villaggi di Basnéré, Darsalam, Kankélé, Mouhoun III, Poura-village, Pig-poré e Toécin. Bale confina a nord ed est con la provincia del Sanguiè, più precisamente col comune di Zawara; nel 2020 essa contava 19.046 abitanti.
Poura è un comune rurale. La popolazione è principalmente occupata nell’agricoltura e nell’allevamento. O, per meglio dire, era. Sì, perché il dipartimento ospita(va) il grande sito minerario della Burkina Mining Research Company o Société de recherche et d’exploitation minière du Burkina (SOREMIB), chiuso nel 1999. Il fatto che l’estrazione dell’oro non venga più praticata a livello industriale, non significa che ciò non si verifichi in scala inferiore. Molti abitanti dell’area infatti sono tutt’oggi impiegati nell’estrazione artigianale.
Poura è stato per molti anni sinonimo di ricchezza, benessere, sogni. L’attività estrattiva aveva consentito di alzare la qualità di vita degli abitanti e di coloro i quali lì erano giunti, ed ancora arrivano, da altre zone del Burkina Faso in cerca di fortuna. Donne e uomini, adulti e bambini, tutti in un modo o nell’altro alla ricerca del biondo metallo. Ma a che prezzo! Chi si avvicina al vecchio sito minerario, nota una zona sorvegliata dai gendarmi. Non per paura di furti, per per motivi di salute pubblica. C’è infatti un’enorme serbatoio traboccante cianuro, lo ione utilizzato nel processo di lisciviazione per complessare l’oro. Esso occupa circa un quarto di ettaro. Una vera e propria bomba ecologica, gentile omaggio della SOREMIB. Fondata nel 1973, la società non è di proprietà straniera come tante che operano in Africa: il capitale è di proprietà dello Stato del Burkina Faso al 60%, al 20% di COFRAMINES, una controllata di BRGM, e della Islamic Development Bank al 20% (fonte: Proceedings of the Metallurgical Society of the Canadian Institute of Mining and Metallurgy – R.S. Salter, D.M. Wyslouzil, G.W. McDonald – Elsevier, 22 ott 2013).
In grigio i siti minerari più estesi. Visualizza mappa ingrandita
Ebbene, la sostanza tossica è ormai divenuta parte del panorama locale. La gente ormai si è abituata, ci passa accanto strofinandosi gli occhi per il bruciore, non fa più caso ai mefitici vapori. La pioggia lo fa traboccare, alcuni improvvisati minatori vi accedono per utilizzarlo a loro volta. I res0idui della lavorazione misti al cianuro penetrano nel terreno, raggiungono le falde acquifere. A ciò si aggiunge la deforestazione illegale intrapresa per utilizzare il legno nell’attività estrattiva (costruzione di intelaiature, sostegni, baracche), la polvere sollevata dai macchinari che vanno avanti ed indietro per le varie miniere, ed il rumore assordante dei macchinari che dalle 6 di mattina alle 8 di sera martella le orecchie degli abitanti. A fine luglio 2021 il sindaco ha richiesto che i siti di lavorazione, la maggior fonte di rumore, vengano allontanati dai centri abitati; molti cercatori però si oppongono. Freneticamente continuano a scavare, incuranti dell’esposizione agli agenti tossici; per molti è l’unico modo per mantenere la famiglia. Ovunque nella zona si vedono buche profonde in cui viene pompata l’acqua da mischiare al terreno per separare l’oro. Cataste di sacchi di terra si accumulano lungo le vie come a costituire delle trincee di una guerra che vede da un lato la salute pubblica, e dall’altro il benessere economico.
Intorno, campi dove si coltiva la noce del karité, mandrie di buoi che pascolano la poca erba rimasta e si abbeverano alle pozze rigurgitanti composti chimici. Ovunque, l’odore pungente del cianuro. Ma non va certo meglio agli esseri umani. I pozzi per l’acqua potabile, oltre che dal cianuro, sono contaminati da arsenico, zinco ed acidi. A nulla serve scavarne di nuovi. La gente si ammala, muore. Il 41,61% delle persone che si rivolgono ad un medico, lo fa a causa di infezioni respiratorie acute, che sono la principale causa di malattia nell’area, prima addirittura della malaria.
I pastori vedono il proprio bestiame decimarsi e sono costretti ad andarsene. Il disboscamento incontrollato inaridisce il terreno ed anche le colture scompaiono. Ma non è ancora tutto. All’orizzonte si profila un altro grande pericolo. Le acque di dilavamento provenienti da Poura, con tutto il loro carico di sostanze inquinante, finiscono nel fiume Mouhoun. Ed allora anche i pesci, gli animali che vi si abbeverano, ed i terreni irrigati con la sua acqua ne risulteranno contaminati.
Gli abitanti protestano, le istituzioni locali tentano di frenare la corsa all’oro, ma inutilmente: impotente, almeno a quanto riferisce, invoca l’aiuto del governo centrale. Quello stesso governo proprietario al 60% di chi non ri è curato di bonificare il sito minerario dopo l’abbandono. Qualcuno dirà “Come si poteva, non ci sono i mezzi, il Burkina Faso è povero!”. Vero, ma è anche pesantemente afflitto dalla corruzione, a tutti i livelli, e ciò impedisce di prendere adeguati provvedimenti a tutela dell’ambiente e delle persone: meglio l’oro che loro!
L’aria è pesante, e non solo dal punto di vista chimico. La gente appare ormai rassegnata.
C’era una volta Poura, una felice cittadina rurale nella regione di Boucle du Mouhoun…