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Né carne né pesce, l’angoscia della gente non decresce.

Da lungo tempo i paesi che si affacciano sulla zona del Sahel sono afflitti dalla piaga del terrorismo di matrice jihadista. A ciò si aggiungono bande di criminali, alcuni dei quali in qualche modo collegati ai vari gruppi di terroristi. Accanto alle uccisioni, ai ferimenti, alla distruzione, al conseguente dramma degli sfollati, vi è un altro danno che va considerato, forse meno eclatante, ma comunque molto importante. Secondo il World Food Program delle Nazioni Unite, nei prossimi mesi infatti l’area, ed i particolare il Burkina Faso, sarà interessata dall’ennesima crisi, legata alla mancanza di cibo. Nella fattispecie si tratta di tutta quella serie di alimenti che si possono ricavare dal bestiame. Se da un lato infatti i criminali sono sicuramente interessati alle risorse aurifere, comunque non sempre facilmente raggiungibili, il business più redditizio ed a basso rischio è sicuramente rappresentato dalla razzia di bestiame, bovini ed ovini soprattutto. I terroristi imperversano praticamente indisturbati nella zona; attaccano i villaggi e rubano gli animali, ma ancora più facile è razziare le mandrie dei pastori nomadi i quali essendo isolati, rappresentano una preda ancora più appetibile.
Touka_K12Negli ultimi tre anni il prezzo della carne è aumentato esponenzialmente, proprio a causa dei ridotti approvvigionamenti. Prima il prezzo oscillava fra i $300 ed i $430 per capo bovino, oggi siamo intorno ai $700. Niente bestiame, niente pastori, i quali fuggono per rifugiarsi da parenti od amici nelle città, ritenute più sicure, piuttosto che nei campi profughi. È un circolo vizioso dal quale è difficile uscire, soprattutto se le condizioni non cambieranno. Se si potesse tornare ad allevare il bestiame in sicurezza, il prezzo scenderebbe, anche se lentamente. Bisogna considerare che oltre alle dinamiche economiche, banalmente per crescere gli animali occorre tempo, importarli da altri mercati lenirebbe forse un po’ la domanda, ma non i costi.
2014 Capra incuriositaAd aggravare la situazione dell’insicurezza alimentare ci sono poi anche l’epidemia di Covid-19 e la domanda crescente di carne, che negli anni precedenti si accompagnava al crescente consumo; segno inequivocabile di un miglioramento delle condizioni economiche, con tutti i “se” e tutti i “ma” del caso. A conferma di ciò vi è anche l’aumento di consumo di pesce, soprattutto d’acqua dolce, per lo più locale, che compensa o sostituisce la carne; l’industria ittica locale, operante ormai da più di 40 anni, ha visto un aumento della produzione e dei profitti, così anche la popolazione si è abituata al pesce e ciò ha innescato un aumento della richiesta (cfr ad esempio: http://lefaso.net/spip.php?article13505). Paradossalmente la carenza di carne potrebbe rappresentare una grossa opportunità per i commercianti ittici ed il mercato; com’è abbastanza intuitivo, l’allevamento ittico non rappresenta certo la risorsa alimentare principale del deserto del Sahel, dunque il pesce proveniente da altre regioni potrebbe, teoricamente, sostituire parzialmente la carne. La realtà però è un po’ diversa. Innanzitutto la logistica ed i trasporti. Per portare il pesce, servono contenitori refrigerati, camion frigo, e non ce ne sono molti. Il consumo di pesce in Burkina Faso è costituito principalmente da prodotti freschi locali, che non fanno molta strada dal laghetto alla pancia del consumatore, oppure dal pesce congelato proveniente dall’estero, diretto essenzialmente nelle grandi città.
allevamento-suini-Salce-2013_DSC00420Poi sicuramente la sicurezza dei convogli, che non può essere garantita. Nessuno pagherebbe di tasca propria una scorta, sulla cui efficacia si può pure discutere, per qualche quintale di pesce. Infine anche la tradizione culinaria; non è esattamente inconcepibile pensare che qualcuno in zona non abbia mai mangiato un pesce in vita propria.
Tirando le somme, poca carne, quasi impossibile sostituirne la richiesta con prodotti ittici, la crisi alimentare è servita. Sempre secondo il WFP fra Burkina Faso, Mali e Niger, 8 milioni di persone in più rispetto a quelle già interessate, potrebbero soffrire la fame a partire dai prossimi mesi. Il problema sarà più sentito nei campi profughi, ove continuano ad arrivare fuggiaschi, e dove anche l’acqua diverrà sempre più rara. Le Nazioni Unite portano costantemente derrate alimentari ed acqua, ma la situazione è destinata a divenire ben presto insostenibile. Se non arriveranno altri aiuti, saranno costretti a tagliare le razioni. A ciò aggiungiamo le problematiche relative all’accesso agli aiuti umanitari all’interno dei campi profughi, di cui già fu disquisito su queste pagine.
Certamente il recente colpo di stato in Burkina Faso da un lato è stato accolto con favore da una parte della popolazione, soprattutto nelle periferie, dall’altro ha lasciato nell’incertezza partner internazionali ed ONG che operano sul campo.

 

 

Fonte:Voanews.com